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 (di Daniele Ruta)

L’UMANITE’ DEL COFFE’ HOUSE IN VIAGGIO TRA LE PIETRE E I SASSI PER CERCARE DI RACCONTARE IL MONDO Agli abitanti della Coruna, citta’ atlantica della Galizia, in Spagna, appariva come un miraggio la moltitudine dell’ umanità che protestava contro la corrida dei tori e la barbarità di questa tradizione . Una folla incredibile partiva dalla Plaza Obelisco per dirigersi verso la più importante Plaza Maria Pita, l’eroina macellaia che nel quindicesimo secolo riesce a ricacciare in mare i pirati inglesi al servizio della corona britannica dopo che il suo uomo, o marito, non si sa’, veniva ucciso durante l’assedio della città’. Si narra che la donna, enorme e corposa, si scaglia inviperita contro gli assassini del compagno con un coltello da lavoro riuscendo a decapitarne un numero sufficiente per scatenare il terrore tra la ciurma che preferisce ritirarsi in mare. Oggi la Spagna appare nella sua condizione di paese moderno, europeo, una condizione che contraddice la scelta del massacro nell’arena che per il mondo animale ricorda i gladiatori di Roma, i leoni che divorano i primi cristiani e gli schiavi contrapposti ad altri schiavi nella mattanza per la sopravvivenza. E tuttavia, oltre la barbarità, anche le leggi che risentono dei postumi della dittatura franchista non vanno nella direzione della modernità. Un ragazzo con la sua protesta lo dice chiaro: “Questa è la prima volta che in città ci hanno permesso di manifestare, gli altri anni ce lo hanno impedito, e siamo nel 2013!”. Per un italiano può apparire scioccante ma in Spagna e’ così dove ogni comunità autonoma e’ vincolata alla delegazione del governo che decide, non si sa’ come, non si sa’ perché, di autorizzare o proibire la libera espressione dei cittadini. Se si e’ cronisti e non si e’ dementi occorre prepararsi alla visione della morte nell’arena per poi essere costretti ad elaborare il lutto di un evento incomprensibile dove le donne ridono, applaudono il torero quasi nel significato del gesto sessuale e gli uomini complici reclamano la musica o l’orecchio del toro tagliato che finisce nelle mani di un ragazzo. Quanto potrà evoluzionarsi un popolo se uccide ancora per diletto? Juana, troskista e galiziana, mi accompagna la mattina nel percorso di protesta con uomini e donne che credono in qualcosa e per questo combattono. Mi spiega Juana che il popolo a cui piace il sacrificio spera sadicamente ed inconsciamente che sia il torero ad essere ammazzato e che tutta la colorita scenografia di sangue fa’ parte di un assurdo a cui sono stati preparati. Poi aggiunge:” La corrida funziona come il calcio, ci sono le squadre di seria A, di B… e la corrida che vedrai e’ solo una C1 di terza categoria”. Cosa vedrò dunque, il meglio o il peggio della morte visto che anche la morte è stata classificata con lo spettacolo. E come si puo’ spiegare l’assurdo che è stato preparato?. E’ l’idea ancestrale di qualcosa che domina questa sociología degli uomini e che deve rappresentarsi con una vittima sacrificale che da gioia e piacere? E’ il senso di un dominio fascista?      

O di una felicità franchista? O è peggio, tutto peggio? L’arena spiega, l’arena parla, l’arena ti dice che per capire devi essere complice e testimone del suo crimine. E infatti nell’arena non e’ la morte ad essere padrona. Il vero padrone assoluto porta il nome di condanna, condanna della morte. L’arena attrae con il suo sangue e lascia tutti i complici in una condizione di impotenza. La condanna e’ stata preparata, la condanna sarà eseguita, anche se il toro miracolosamente vince non sara’ comunque risparmiato. E’ questo che veramente piace, essere complici e impotenti di fronte ad una condanna che ti trascina con la sicurezza che tu, spettatore e complice, non sarai toccato. E’ il piacere delle masse che volevano il nazismo, è il piacere del popolo di Palestina che crocifigge Cristo. E’ il piacere di sapere di essere complici impotenti di una azione senza appello a cui potrai assistere per assicurarti di liberarti, con la tua impotenza, dallo stesso rischio. Del resto cosa si potrebbe fare per salvare il toro? Lanciarsi nell’arena e cercare di spiegare al toro di non muoversi? O di arrendersi così che possa essere risparmiato? Il toro non capisce, il toro vive il suo massacro come un gioco. Tutto cio’ che si vede e’ lampante, evidente. Un malefico crimine, falsato di eroismo nella categoria C1. Questi toreri non hanno niente di eroico, sono solo saltimbanchi, attori di una scena finta che diventa tragicamente reale con la morte. Il vero coraggio, il vero eroismo, questo sentimento che si dice scuota le donne, si dimostra nel campo della lealtà con uno scontro che non scompensi le forze di uno dei contendenti. Il toro viene dopato, narcotizzato, eccitato, il toro nasce e vive in un contesto di eventi prodotto da un mondo segreto e sconosciuto. Il toro lasciato nell’arena si lancia contro qualsiasi cosa si muova ecco perchè cerca sempre di colpire la tela rossa e non capisce che cosa stia succedendo veramente. Il toro trova uomini a cavallo che lo feriscono con le lance e gruppi di sotto saltimbanchi che lo distraggono sempre dal suo assassino. Il toro trova solo nemici e complici, il toro è solo, tutti sono apparentemente, come dice Juana, contro il toro. Un vero torero che cerca la sua gloria dovrebbe essere solo, anche lui solo, contro il toro. Con le stesse armi, faccia a faccia, con lo stesso rischio. Il falso eroismo nasconde sempre i trucchi, tanti trucchi che vengono celati dietro la facciata dell’eroe torero che alza l’orecchio del toro morto rivolgendosi ad un presunto dio che lo protegge ma non lo assolve. Tutti nell’arena, in un’orgia di banalità del male, osannano l’eroe chiedendogli di toccare i loro oggetti, un indumento, un mazzo di chiavi che ricordi il contatto che dovrebbe rilasciare una presunta forza. Nessuno ha mai indagato veramente lo scandaloso circo economico della corrida, nessuno è mai riuscito a carpirne i segreti, i trucchi della morte. Sono spalmate sostante nel ferro delle spade e delle lance? Il toro si dissangua ma la quantità di sangue vista e che lascia nell’arena non appare una sufficiente conseguenza per far cadere come una pera un animale poderoso e gigantesco. La mattina, nella Plaza Maria Pita, ero ancora un cronista impreparato. Non sapevo che qualche ora dopo il vissuto dell’arena avrebbe arricchito il significato delle dimensioni parallele. Plaza Maria Pita dove un’ umanità distinta lotta per la stessa causa. C’è il popolo degli indignados, ci sono i nazionalisti galeghi che aspirano ad una repubblica indipendente di Galizia. E con questo non si capisce quanto valore abbia il loro sentimento animalista a fronte di una radicale posizione contro lo stato spagnolo rappresentato nel folklore della corrida. C’è una sinistra aperta e svariate sigle, svariate posizioni. E poi il partito animalista, il partito anticorrida o anche una sola presenza personale. Il ragazzo con una maglietta che ricorda il socialismo come una speranza valida ancora nel nuovo millennio. L’immagine nel petto di Marx, Engles, Lenin, i pensatori dimenticati che si aggiungono a questo popolo con un cuore, con una passione e tanta rabbia. Un popolo in marcia di uomini e donne, ragazzi e ragazze che si oppongono alla banalità del male e gridano in galiziano: “La tortura non è cultura, il miglior torero è quello morto.” In questo andare si comprende il canto di Giorgio Gaber: “La libertà è partecipazione” anche se più tardi, in plaza Maria Pita, un gruppo di cantori galego messicani preferisce mettere in repertorio le canzoni di Nicola di Bari. Qui è la musica italiana a toccare il cuore galego. Sono idoli Al Bano e Raffaella Carrà, praticamente sconosciuto Fabrizio De Andre’. Ma questo ritardo musicale o culturale non ha niente a che vedere con la corrida che alla stragrande maggioranza dei galiziani non è mai piaciuta. Spiega Juana: “Durante il franquismo era la dittatura che qui imponeva la corrida. Poi, con la democracia, per più di trenta anni a La Coruna non ci sono state più corride finché, il sindaco, socialista, ha avuto la felice idea di finanziarle e questo ti dice quanta poca differenza ci sia tra la destra e la sinistra”. E’ bello vedere che contro la banalità del male ci sono, in prima fila, tantissime donne, apparentemente più testarde e determinate. I ragazzi, più aggressivi, accendono la miccia di una rissa quando un uomo anziano li deride e offende ma poi si controllano abdicando per un attacco della parola: “Bastardo, bastardo fascista!”. Viene mostrato il manichino di un torero impiccato e qualcuno sente il bisogno di credere che con un’altra azione la condanna a morte puo’ ancora essere fermata: “I più radicali di noi faranno qualcosa….faremo qualcosa”. Raggiungere l’arena a La Coruna, un centro multifunzionale adattato grossolanamente in spazio di morte. All’esterno è già forte l’odore del toro e un sentimento di impotenza e di condanna viene lanciato da un gruppo di ragazzi inermi che protestano. Poi, sconfitti, si allontanano alimentando la soddisfazione e le risate delle forze di sicurezza. Non c’è stata nessuna azione eclatante come era stato detto da alcuni di loro. La morte attende, la morte vince nell’arena semivuota. Juana, troskista e galiziana:” E’ chiaro, è normale trovare l’arena semivuota. Sono quasi tutti turisti, poche le persone di Galizia, gente morbosa e allucinata che arriva in vacanza dalle zone più arretrate della Spagna”. La corrida ha bisogno dei soldi pubblici per continuare ad esistere come i giornali, le industrie, l’ informazione, come in Italia anche in Spagna. E allora i soldi piovono da tutte le parti. E il Mister, che sarebbe l’equivalente del boss di una squadra di calcio, viaggia con le sue macchine lussuose e potenti da un posto all’altro per osservare i successi della sua partita. Un policia nazional:” Che belle macchine, niente da invidiare a quelle di Berlusconi, veri padroni questi Mister e questi politici”. Il potere e il sangue di una violenza data per legittima distrae i potenti dal piu’ grande assunto delle dimensioni parallele che sono certe con la democrazia della morte. Ma che cosa avverrà dopo? Ci sarà solo luce e pace o non ci sarà niente? Saremo traditi anche dalla speranza di una vendetta eterna? E allora quale è il senso della vita e della morte? Quale è il senso di uno spazio infinito, cosmico, che finisce e non finisce come una stella divorata, come un toro massacrato senza il bisogno dato dalla fame, senza il bisogno che sia mangiato. E poi è giusto che sia mangiato? E’ giusto divertirsi prima con la sua agonia? E perché gli uomini si pongono il dilemma ora dopo millenni di massacri nelle arene con milioni di leoni uccisi e indicibili sofferenze di uomini e animali. Sono queste le domande che nascondono il mistero delle dimensioni parallele. Se ci si domanda il mistero esiste perché lo spazio cosmico finisce e non finisce. E tutta l’energia e’ regolata da una logica, da un criterio. In sintesi, da una giustizia che vede i limiti e le differenze tra un gruppo di ragazzi impotenti e le macchine di sangue parcheggiate fuori dall’arena. Un sangue che si riconosce prima ancora di sentirlo con la sua mescolanza di odori forti dell’animale condannato. Ma c’è la nostra mente, microcosmo che comunica con i più grandi mondi dell’universo, con la stella che muore, con uno spazio che finisce e non finisce. Esiste la dimensione parallela se viene pensata ed elaborata dall’energia del nostro pensiero. Poiché, se l’universo è regolato, dunque anche al pensiero va’ riconosciuto un senso. La banalità del male si diverte nell’arena. Nessuno intende la condanna né l’impotenza che non può evitarla. E il toro invece cosa pensa?. Nel suo sguardo, diretto all’assassino, si legge sofferenza ma anche stupore. E’ come se dicesse:” Ma non era un gioco? Che cosa vuoi da me ancora?”. Il toro respira forte, suda, defeca e sanguina. E guarda, guarda il suo assassino: “Io capisco ma non capisco, questa banalità del male è con me o contro di me? Vuole solo giocare? E tu, diverso da me, giochi con me facendomi del male?”. L’arena gode in apoteosi con la caduta straziante dell’animale. Ma non è questo l’istante che apre alle dimensioni parallele. Servono due azioni compiute a spettacolo finito. E’ la spada del saltimbanco che trafigge la testa del toro. L’esecuzione porta il toro a spalancare tutta la sua bocca, mandibole lanciate alle scene della banalità del male. Ma serve un’esecuzione ancora. La scena ripetuta del volto chiaro e lucido della morte. Poi l’apoteosi un’altra volta. Festa e musica. Una stella cade. E’ un giorno tutto diverso da un’altra parte. L’energia è giustizia, il pensiero non tradisce, la verità è certa. La dimensione parallela, spazio con istanti senza fine, quando tutti insieme i saltimbanchi si ritroveranno faccia a faccia con tutti i tori. Un nuovo spettacolo che non finisce, con i prigionieri delle loro tenebre, circondati dal buio, privati di luce, spaventati da momenti interminabili. Le loro bocche aperte dall’atto di giustizia, senza fine, senza fine. E’ certo, se il pensiero esiste, è certo se il pensiero lo ha già detto. E’ questo l’istante quando tutti i tori si rialzeranno dalle arene.

Daniele Ruta

Scrittore e giornalista

danielerutagiornalista.blogspot.it 

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