Gli animali hanno sempre fatto parte della vita umana, almeno fin quanto pertiene al nostra memoria, storica e non. Risulta del tutto quindi naturale che essi facciano parte della nostra narrativa, e che quindi vadano a popolare le nostre
storie e racconti.
Non sorprende, dunque, che gli altri animali formino una parte significativa e non trascurabile degli “attori” e che la loro presenza in televisione e nel cinema sia tutt’altro che sporadica, e spesso esula anche la “rievocazione storica” (cioe’ il narrare di eventi in cui si presuppone tali animali giocassero una parte importante, come “Ben Hur”) e il loro compito diventa quello di ispirare tenerezza, simpatia, oppure da semplice intermezzo comico.
Cio’ risulta in una situazione del tutto ironica, quasi umoristica se non fosse per l’intrinsica tragedia che cio’ implica. Perche’, come in tutte le attivita’ “umane” in cui gli animali vengono coinvolti, essi non sono minimamente interessati ai benefici che cio’ comporterebbe per la loro controparte umana, benefici che la specie umana si tiene ben lungi da offrire tra l’altro. E quindi vengono costretti, ricattati e abusati per ottenere da loro la performance richiesta.
E l’ironia dove sta? Nel fatto che, nella maggior parte dei casi, gli animali vanno sul teleschermo proprio per i sentimenti di benevolenza che la persona comune naturalmente prova nei loro confronti, e questa benevolenza risulta essere quindi flagello per loro. Ho perso conto di quanti film ho intravisto la cui trama poteva essere riassunta cosi’:
a) Il protagonista e’ un ragazzino infelice senza amici, ha perso il padre, ha dei generici problemi
b) Il ragazzo in questione incontra animale strano/esotico e fanno amicizia
c) Generici supercattivi con cattive intenzioni verso l’animale cercano di impossessarne
d) Il protagonista in qualche modo salva l’animale dai suoi aguzzini e lo restituisce alla liberta’
La cosa piu’ assurda, e’ che la realta’ dei fatti e’ che i supercattivi della situazione sono GLI SPETTATORI, i quali con la visione danno supporto economico a coloro che imprigionano e seviziano i cosidetti “attori animali”, per costringerli a comportarsi in maniera adorabile e divertente. E’ un caso di letterale sadismo, e cioe’ il trarre piacere dalla sofferenza altrui, sebbene risulti essere inconsapevole.
Insomma, non ci vuole essere un etologo per capire che, da un punto di vista etico ed empatico, gli animali gli studi televisivi non li dovrebbero mai vedere nemmeno da lontano.
Poi, come d’altronde e’ d’uso e costume, cio’ che e’ orrido e detestabile per principio viene reso atroce e terrificante da una serie di abusi e crudelta’ gratuite dovute agli “adetti ai lavori”, che, in quanto umani, hanno la terribile tendenza a trasformarsi in veri e propri mostri quando messi di fronte a chi e’ indifeso.
Vogliamo parlare dei 100 cavalli morti per il sopracitato “Ben Hur”? O forse dei quattro polpi MANGIATI VIVI per il piu’ recente “Oldboy”? O del bufalo macellato durante le riprese di “Apocalypse Now”? Oppure, ironia delle ironie, l’elefante “educato” con pungoli elettrici per il film americano “Water for Elephants”, in cui per l’appunto lo stesso elefante veniva maltrattato da un addestratore circense?
Ma non e’ solo il grande cinema che uccide e mortifica. In merito a questo vorrei riportare la testimonianza di Richard O’Barry, ex-addestratore di delfini, che, alla domanda dell’intervistatrice che gli chiese quando egli si accorse di quanto fosse sbagliato quello che stava facendo, rispose:
“Il cambiamento in me avvenne nel 1970 quando Flipper (NDR: Quello della famosa serie. Si’, proprio lui) mori’ fra le mie braccia al Seaquarium di Miami.
Per un lungo periodo prima che lei morisse, gia’ sapevo che i delfini non erano adatti alla cattivita’, ma non avevo mai fatto nulla in riguardo. L’intera industria che mantiene in cattivita’ i delfini e’ basata sull’inganno e, da addestratore di delfini, uno deve adattarsi. Menti al pubblico, ai media e a te stesso ogni giorno.” (Traduzione libera del sottoscritto dall’inglese)
In seguito alla traumatica esperienza, Richard O’Barry divenne un attivista contro i delfinari e gli acquari, finendo poi per produrre il famoso documentario “The Cove”. Simile e’ l’esperienza della compianta Pat Derby, ex-addestratrice trapassata il Febbraio di quest’anno e fondatrice dell’associazione PAWS, che si allontano’ dalla propria professione disgustata dai metodi utilizzati. In merito a Pat Derby si vuole anche fare una specificazione, per onesta’ intellettuale: essa stessa sosteneva che tali trattamenti venivano risparmiati ai cani, e che i cani che lei ha addestrato, come il celeberrimo Lassie, venivano trattati bene.
Quello canino puo’ essere un discorso a parte, e sebbene e’ ragionevole pensare che gli abusi e i maltrattamenti esistano anche verso di loro, i cani sono forse piu’ predisposti a lavorare e soprattutto collaborare con l’uomo.
I casi sono molteplici e variegati: se ne potrebbe produrre un elenco infinito ed io ho voluto riportare solo alcuni fra quelli piu’ emblematici. Non si illuda il lettore che essi finiscano qua, perche’ potrei letteralmente riempirne pagine, e finirebbe prima il mio tempo che gli esempi.
Uno, inoltre, potrebbe chiedersi: ma che fine faranno gli animali troppo vecchi o troppo grossi per il ruolo a loro richiesto? Un cucciolo di gorilla puo’ sicuramente fare tenerezza, ma un gorilla adulto come lo si confina? Sul sito della PETA si puo’ leggere che “gli scimpanze vivono fino a 60 anni circa, ma all’eta’ di 8 anni diventano troppo grossi e forti per poterli maneggiare con sicurezza, e vengono quindi scaricati a zoo di strada o altre strutture dagli standard decadenti, dove passano decadi in piccole gabbie di cemento e in totale isolamento” (sempre traduzione dall’inglese del sottoscritto). Insomma, e’ evidente come la violenza sugli altri animali non sia decisamente l’eccezione, ma la regola in tale ambiente.
Cosa possiamo fare noi comuni cittadini tuttavia? La risposta, come in buona parte dei casi, e’ boicottaggio: tali scempi sono in fondo dei prodotti e rispondono ad una domanda, con lo scadere della domanda scadra’ anche l’offerta. Scrivete alle reti che mandano in onda tali film e serie, e soprattutto scrivete alle aziende, come per esempio la Milka, che utilizza animali nei propri spot, che lo spot ha ottenuto esattamente il risultato opposto a quello desiderato. Non supportate con i vostri soldi le uscite al cinema di film che mostrano animali esotici o da fattoria. Insomma, siate COSCIENTI del problema, e comportatevi di conseguenza.
Luca Menghini