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Dunque, qualche giorno fa, nel corso di un’accesa discussione sul social network per eccellenza riguardo la vivisezione, qualcuno mi cito’ l’articolo relativo sulla Wikipedia italiana, che, testualmente sosteneva che “Oggi questo parametro
tossicologico non è più in uso per motivi etici ed economici”. Tuttavia, la tale affermazione non era seguita dal rassicurante apice con la fonte, e quindi risultava un pochino dubbiosa.
Decisi di indagare sulla questione, per fare chiarezza e per capire quanto ancora questo test fosse ancora utilizzato nei laboratori di tutto il mondo: mi sembra giusto condividere qua quanto ho trovato, poiche’ e’ impossibile negare che il DL50 (o LD50 per gli anglofoni) e’ stato, se non il test piu’ brutale, di certo una delle massime cause di morti nei laboratori.
Dunque, dopo una breve ricerca, ecco i fatti riassunti:
L’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), un’organizzazione internazionale nata dalla vecchia  Organisation for European Economic Co-operation e di cui fanno parte ben 34 stati (fra cui buona parte dell’UE e tutto il Nord America), ha effettivamente bandito tale test, a cui essa si riferisce con il nome di “Guideline 401”. Sembra fin troppo bello per essere vero? In effetti lo e’: sebbene si tratti di una notizia comunque estremamente positiva, questo significa solo che il DL50 e’ stato sostituito da metodi ad esso analoghi. Il miglioramento e’ piu’ una questione prettamente numerica, in quanto questi nuovi test sono semplicemente dei raffinamenti.
Fra queste “alternative” la piu’ popolare infatti sembra essere la cosidetta “Up and Down Procedure”: essa consiste, essenzialmente, nello stimare quale potrebbe essere il DL50 per una determinata specie, per poi somministrare tale dose ad un individuo. Se esso muore entro un paio di giorni, il test viene ripetuto su un altro individuo con una dose inferiore. Se invece sopravvive, la dose viene aumentata.
Gli animali vengono testati uno alla volta, e questo riduce grandemente il numero delle cavie necessarie. Quella che non viene minimamente ridotta, tuttavia, e’ la loro agonia prolungata a causa di un avvelenamento deliberato e sistematico. Insomma, lo chiamano in un altro modo, ma per la vittima designata il test e’ completamente indistinguibile dall’originale.
Inoltre, e’ da notare come anche dopo il 2001 in alcuni paesi appartenenti all’OECD (in particolare gli Stati Uniti) si sia comunque ripetutamente utilizzato l’LD50: infatti le cosidette “Guidelines” dell’OECD, legalmente parlando, ricadono sotto la classe di “raccomandazioni” (“recommendations” in inglese). Questo significa che, al contrario delle “Decisions” (che sono l’altro tipo di documenti promulgati dall’organizzazione), come si puo’ leggere dal sito ufficiale dell’organizzazione, esse non sono vincolanti e gli Stati membri, pur non seguendole, non sono affatto sotto minaccia di sanzioni. Insomma, puri e semplici suggerimenti, che pare vengano ignorati da alcuni.
Cito, a virtu’ di esempio, un articolo del Washington Post del 2008 (ben sette anni dopo la pubblicazione del documento in questione):
“Without a federally approved safety test that does not use animals, a company spokeswoman says, lethal dose 50 “is by default the required test.”
Ma la cosa peggiore e’ realizzare che, se anche il DL50 e i suoi parenti stretti scomparissero domani, i test di questo calibro sono innumerevoli: c’e’ il celeberrimo Draize Test (il quale penso non abbia bisogno di presentazioni), ancora estremamente popolare; i test per determinare se una  sostanza sia IDLH (Immediately Dangerous to Life and Health); il TD50 (Toxic Dose 50), sotto il quale per esempio cadono i test sui cancerogeni (l’insorgenza di un tumore viene classificata come “intossicazione” e non come morte)…
Qual’e’ il punto a cui voglio arrivare, e perche’ sto scrivendo questo articolo? Perche’ ultimamente si sta registrando una nuova ondata di opinioni a sostegno della “sperimentazione animale” e che vogliono dipingere questo genere di test, brutali e crudeli, come reliquie del passato, quando questa non e’ la realta’ dei fatti.
Ci viene raccontato che, di certo, gli animali “non muoiono per curare un raffreddore” quando questo succede con allarmante regolarita’.
Purtroppo, sebbene dei piccoli passi avanti sono stati di certo fatti, nei principi la sperimentazione sugli animali odierna non si scosta di molto da quella del secolo scorso, ed e’ importante munirsi di dati, anche pochi ma convincenti, per dimostrare a chi crede il contrario che la vivisezione e’ ancora un processo nella gran parte dei casi fatale per la vittima, e non si tratta di “fare una punturina” all’animale che poi vivra’ felice nel suo stabulario. Lo so, puo’ sembrare paradossale doverlo chiarire, ma tristemente i grossi interessi hanno creato un’immagine fraudolenta di quello
che succede nei laboratori: immagine che e’ tanto facile da vendere proprio perche’ la gente vi vuole disperatamente credere.Non mi resta che concludere con un’ovvieta’: la sperimentazione animale e’ un processo eticamente scorretto A PRIORI. Non si dovrebbe neppure considerare QUANTO essa danneggia e tortura la vittima. Ma non tutti la pensano come me in merito, e a volte c’e’ chi si convince di cio’ solo di fronte all’inferno in Terra. Per questo e’ importante rimanere informati sulle procedure e sui metodi effettivamente utilizzati: non perche’ rendano illegittimo qualcosa che sarebbe sostanzialmente legittimo, ma perche’ rendono l’abuso evidente e sfacciato a chiunque abbia gli occhi per vederlo.

 

Luca Menghini

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