UN APPROCCIO NUMERICO AL CUOIO E ALLA PELLE_1a8126a7969f665f6b868de0d02ddae1

Quando si parla di veganesimo e dintorni vi e’ una serie di argomenti che e’ impossibile non toccare, e riguardo alcuni di essi la cosidetta “opinione vegana” risulta essere piu’ difficile da argomentare rispetto ad altri. Uno di tali argomenti e’ il problema della pelle e del cuoio.
Un vegano si rifiutera’, giustamente, di indossare indumenti composti con la pelle di un altro animale assassinato, e invitera’ i suoi amici e parenti a fare lo stesso: ma questo perche’? E’ forse semplice disgusto? Naturalmente il disgusto gioca la sua parte: il solo pensiero di indossare come indumento la pelle di un altro essere scuoiato come un moderno Ed Gein risulta essere macabra e assurda nel momento in cui si riconosce nell'”altro animale” un prossimo e una creatura affine, ma non finisce qua.
Il motivo che spinge noi vegani a intimare ad altri di seguire il nostro esempio non puo’ essere il disgusto: in fondo, se vedessi qualcuno bere da un orinatoio proverei disgusto, ma non mi sentirei moralmente obbligato a fermarlo. A ciascuno il suo, si usa dire.
No, quello che ci spinge e’ una considerazione estremamente pragmatica: i soldi spesi nell’acquisto di tale materiale sono soldi finiti in tasca ad un allevatore, ad un essere umano che li reinvestira’ nel suo cosidetto “business” (parola che pare giustificare ogni cosa al giorno d’oggi) e che lo aiutera’ ad espandere la sua attivita’, al danno di milioni di altri animali, che nasceranno, soffriranno e moriranno grazie alle strutture da noi pagate.
Anche ammettendo per un solo istante che tutta la pelle e tutto il cuoio provengano da animali macellati per la carne (e questo e’ grossolanamente sbagliato) si parla comunque di investire in maniera indiretta il nostro denaro nel proseguimento di tale attivita’.
Ma quanto esattamente gliene viene in tasca all’allevatore per la pelle acquistata? Ecco i numeri: da un “capo di bestiame”, come si ostinano a chiamarli i documenti ufficiali, negando loro anche la piu’ basilare delle dignita’, si ottiene mediamente dai 25 ai 30 chili di pelle. Ora, il prezzo attuale negli Stati Uniti per una libbra di pelle (una libbra e’ poco meno di mezzo chilo) e’ 86 centesimi di dollaro: facendo i calcoli e utilizzando le unita’ di misure europee, ne consegue che la pelle di una singola mucca vale per un allevatore esattamente 48,41 euro. Ora, utilizzando come fonte primaria gli allevatori stessi, pare che una mucca nutrita al pascolo produca carne per un valore totale di 272 euro medi. Quindi, vedendolo in percentuale, si misura con la vendita della pelle un profitto del 18% circa maggiore.
Ora, questi sono tutti calcoli netti che tengono in conto dei soldi che entrano nelle tasche dell’allevatore: questo significa che pure smettendo di mangiare carne ma continuando ad indossare e comprare indumenti di pelle non si e’ per nulla eliminato il proprio contributo all’industria allevatoria. Lo si e’ semplicemente ridotto: ma non potrebbero dire la stessa cosa quelli che dicono che, tanto, loro “la carne la mangiano solo una volta alla settimana”?
Vogliamo veramente vedere il 18% in piu’ di allevamenti, il 18% in piu’ di animali intrappolati, cresciuti con una sentenza di morte dalla nascita, privati della liberta’, privati della famiglia, privati della piu’ basilare qualita’ di vita?
Ebbene si’, anche ammettendo che l’unica pelle acquistata provenga da animali uccisi per “altri scopi”, il risultato e’ lo stesso: i nostri soldi in tasca a degli assassini. E il nostro contributo tutto in quei mocassini di pelle, dall’aria tanto innocente, ma dalla storia si’ sanguinaria.

Luca Menghini

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