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Riparliamo di caccia. Si, l’argomento è già stato trattato sotto aspetti di grande rilievo di tipo sociale ed ambientale, ma tutto resta nella più assoluta indifferenza delle istituzioni, dei mezzi di comunicazione ed anche degli organi preposti ai controlli.

Quindi è opportuno continuare a battere il chiodo fino a quando qualche sensato funzionario pubblico o rappresentante politico non metterà insieme tutti gli elementi che animalisti ed ambientalisti da tempo evidenziano e porrà nelle competenti sedi deliberanti la decisione di abolire la caccia. Devo ritenere che il buon senso sia presente in molti soggetti pubblici, ma il coraggio di prendere posizione su questo argomento è evidentemente molto osteggiato dagli ambienti in cui operano.

Partiamo dai numeri.

In poco più di un mese e mezzo le vittime umane della caccia sono state 13 ed i feriti 33. Purtroppo sono numerose le vittime tra la gente civile, che con l’esercizio della caccia non ha alcun rapporto: cercatori di funghi, contadini dediti al loro campo, giovani impegnati in attività sportive, eccetera. Persone assolutamente innocenti, tra di loro anche minori e perfino bambini, che certamente avevano il loro diritto di vivere e di svolgere le attività oneste ed onorevoli cui erano intente, ma che la sconsiderata azione di gente armata e senza scrupoli ha violentemente cessato.

Ovviamente la maggior parte delle vittime sono tra i cacciatori, ma in quei casi credo si debba considerare che è un rischio calcolato, anche il proverbio ammonisce “chi di spada ferisce, di spada perisce”.

Complessivamente il fenomeno desta vivo allarme nel Paese e l’Enpa, per iniziativa del suo Presidente nazionale Carla Rocchi, ha indirizzato un appello urgente al Ministro degli interni Cancellieri, affinché siano attivate tutte le misure idonee a far cessare questa carneficina umana. Molto probabilmente, anche questa volta, il coscienzioso appello resterà privo della dovuta attenzione e nessuna efficace misura verrà adottata.

La preoccupazione per la propria incolumità fisica ha pervaso larghe fasce della popolazione italiana e da tempo ne condiziona i comportamenti: la gente evita di andare per boschi, di fare passeggiate in aperta campagna, rinuncia a contestare i danni subiti ad opera di cacciatori, non tutela i propri diritti per non discutere con soggetti violenti ed arroganti muniti di armi. Tali preoccupazioni sono ampiamente motivate e confermate da frequenti incidenti, nella desolante impotenza dei singoli cittadini e nella neghittosità delle forze dell’ordine. In questo contesto allarmato e preoccupato, le reiterate uccisioni ed i ferimenti richiedono immediati provvedimenti che aboliscano subito questo dannoso “passatempo”, con il quale alcune migliaia di amanti delle armi si divertono alle spalle dei restanti 60 milioni di italiani. Voglio solo ricordare che i referendum sulla abolizione della caccia tenuti nel 1990 e nel 1997 ebbero rispettivamente oltre il 92% e l’80% di voti a favore dell’abolizione, purtroppo non ottennero esito positivo per l’insufficienza del quorum. Neppure di questa chiara espressione popolare le istituzioni hanno tenuto alcun conto negli anni trascorsi, anzi le autorizzazioni di caccia in deroga ai regolamenti nazionali e comunitari sono una prassi rituale in gran parte delle Regioni e delle Province italiane.

L’assurdità delle norme che regolano la caccia è evidenziato dal divieto di sparare da distanze inferiori ai 150 metri da case ed altri insediamenti, quando è noto che la gittata delle normali armi da caccia varia in base alla munizione usata e può arrivare anche oltre i 300 metri. Quindi ci dobbiamo tutti rassegnare ad essere involontari bersagli anche quando siamo chiusi nelle nostre abitazioni.

Inoltre, è utile ricordare che chi si introduce in una proprietà privata senza autorizzazione del proprietario può essere denunciato per violazione di domicilio, ma se chi si introduce è un cacciatore munito di arma e nell’esercizio dell’attività venatoria il suo comportamento è giuridicamente legittimo. C’è solo da sperare che non trovi nulla a cui sparare, diversamente avremo uno sgradito ospite che rimarrà a suo piacimento nel nostro giardino e che, oltre a uccidere innocenti animali, spesso uccellini inconsistenti anche sotto il profilo alimentare, lascerà un ricordo malefico di piombo quasi eterno nel terreno.

Ancora qualche numero.

I pallini di piombo si degradano in 100 anni, nel frattempo avvelenano il terreno e le falde acquifere. Considerando la stima prudenziale ma attendibile di circa 5.000 tonnellate di piombo da munizioni per caccia disseminato in Italia ogni anno, l’accumulo nel terreno per 100 anni ed il progressivo degrado della materia, si perviene alla media di 250 mila tonnellate di piombo, 250 milioni di chilogrammi costantemente presenti nell’ambiente; circa quattro chilogrammi di piombo a testa per l’intera popolazione italiana, neonati compresi. Questo è il regalo che i cacciatori fanno agli italiani. In questi giorni si parla in modo ossessivo dell’inquinamento causato dall’ILVA di Taranto e dei danni sulla salute della popolazione di quella città. Mai si è sentito un commento sui danni prodotti dal piombo dei cacciatori sulla totalità dei cittadini. Nel caso dell’ILVA si tratta di azienda produttiva che ha fornito posti di lavoro a migliaia di famiglie, nel caso dei cacciatori si tratta di persone che si divertono a danno dell’intera comunità. L’unica logica spiegazione di tale noncuranza della pubblica salute è che la lobby dei cacciatori sia talmente potente da indurre al silenzio anche i mezzi di comunicazione. Quindi ai danni alla fauna, diretta e tragica vittima dell’attività venatoria, occorre aggiungere anche i danni causati in modo pervasivo alla nostra salute e tutto ciò per il divertimento di una sparuta compagine di violenti.

Recentemente l’ISPRA (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha prodotto un complesso studio: “Il piombo nelle munizioni da caccia: problematiche e possibili soluzioni” speriamo che almeno questo autorevole organismo dello Stato abbia la dovuta attenzione, che a noi animalisti è sempre stata negata.

A giustificazione dell’attività venatoria, spesso si sente parlare della necessità di contenere la sovrappopolazione dei selvatici. Vi è grande ipocrisia in tale affermazione. I cinghiali sono in soprannumero affinché i cacciatori possano ucciderne di più. Sono state sostituite le razze locali con altre più prolifiche, perché il divertimento dei praticanti potesse superare i limiti posti dalla natura.

“La razza di cinghiale originariamente presente nell’Italia centro-meridionale era quella maremmana, di piccole dimensioni e relativamente poco prolifica. Negli anni Cinquanta però, per ricostituire la popolazione di questo ungulato a scopo venatorio, sono stati immessi in tutto il territorio italiano cinghiali provenienti principalmente dall’est europeo, più grandi e più prolifici.” (fonte www.parcodeglietruschi.it).

La abbondanza di volpi, che spesso sono oggetto di campagne di abbattimento, è dovuta alla immissione di facili prede quali fagiani, lepri ecc. allevati in cattività dalle aziende agrifaunistiche. La selvaggina proveniente da allevamenti, che viene buttata nei boschi in prossimità della data di apertura della caccia, non ha alcuna possibilità di sfuggire ai predatori selvatici, essendo sempre vissuta in ambienti protetti, Quindi l’abbondanza di cibo determina l’aumento del numero delle volpi.

Questi due soli esempi dimostrano che all’origine dei lamentati squilibri vi è una unica vera causa: la caccia, che cerca di trovare inaccettabili alibi per la propria esistenza. Un altro aspetto della caccia è la desertificazione dei cieli. Infatti, non essendo i cieli ripopolabili in modo forzoso, non vi è più vita, sono state distrutte intere specie di volatili. Rimangono gli uccelli non commestibili cornacchie, storni, ecc. e qualche sempre più raro gruppo di uccelli migratori che riescono ancora a trovare luoghi remoti in cui riprodursi.

Altro comportamento che dovrebbe ricadere sotto le norme che tutelano gli animali d’affezione è il maltrattamento dei cani da caccia. Molti di questi sfortunati soggetti vivono tutto l’anno in recinti angusti, sporchi, con scarsità di cibo e di acqua, spesso esposti al sole d’estate ed al freddo d’inverno, in luoghi difficilmente accessibili e fuori dalla vista dei cittadini. Nel periodo di caccia i cani vengono trasportati dietro le auto in rimorchietti rigidi che, in particolare sulle strade sterrate percorse dai cacciatori, fanno letteralmente ballare in aria quei poveri sfortunati cani che, ciò nonostante, prestano generosamente tutte le loro energie per collaborare con il loro sfruttatore.

Dei cani impallinati ormai non parla più nessuno e neppure è possibile conoscerne il numero, esseri che spariscono nella normale indifferenza di tutti, con l’omertà di familiari, compagni di caccia, amici. Neppure si parla dei cani sbudellati durante le battute al cinghiale, incidenti talmente comuni che il lunedì gli ambulatori dei veterinari posti in luoghi vicini alle zone di caccia assomigliano a macellerie. E quelli che vediamo sono i cani più fortunati che ricevono le cure che talvolta possono salvarli, sempre a costo di enormi sofferenze. Gli altri, i più sfortunati, sono lasciati agonizzanti nei boschi.

Troppa enfasi nel denunciare questo stato di cose? Limitiamoci alla burocrazia che ormai è l’unico criterio di giudizio delle istituzioni. Ogni cane deve avere il microchip, ma i controlli sui cani da caccia di fatto non esistono, se non in astratti mansionari degli organi preposti.

La caccia è una attività crudele, distruttiva della fauna e dell’ambiente, dannosa per i cittadini e fuori da ogni efficace controllo. Le nefaste conseguenze di tale stato di cose sono sotto gli occhi di tutti e sono assai maggiori del già ragguardevole numero di morti e feriti umani di cui i giornali danno notizia per riempire le cronache locali, ma che non determinano alcuna seria riflessione per la necessità della sua abolizione.

L’abolizione della caccia è un dovere per il nostro regime democratico, in quanto il popolo in massa si è già autorevolmente espresso per la sua abolizione. Quando la politica riuscirà a cogliere le forti e vere istanze della popolazione e saprà liberarsi dalla prepotenza delle lobbies potrà definirsi degna di un Paese evoluto e giusto, fino ad allora dovrà accontentarsi di subire il discredito che oggi la colpisce in modo motivato e documentato. I cittadini hanno il dovere di scegliere con cura i propri rappresentanti, diversamente non avranno alcuna possibilità di pretendere la realizzazione dei propri obiettivi. Rinunciando a posizioni ideologiche, gli animalisti devono individuare coloro che svolgono concrete azioni in favore degli animali e che contrastano efficacemente ogni forma di loro sfruttamento. Questo criterio di selezione ci è imposto dalla tragica condizione del mondo animale, vessato in ogni modo dalla pressione demografica e consumistica della nostra insensibile ed insensata specie umana. Nessun animalista da solo, neppure impiegando l’intera sua vita, può ottenere i risultati che una buona revisione delle norme oggi esistenti potrà conseguire durevolmente, a condizione che i nostri rappresentanti politici siano stati scelti con cura.

Marco Ciuti

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