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I medici veterinari: specisti o animalisti.

Per noi animalisti i medici veterinari sono figure professionali assai importanti, con le quali siamo in contatto con regolarità e frequenza per le più disparate necessità.

Alla nascita di questo sito si era pensato ad una parte dedicata proprio a loro, con la possibilità di raccogliere la segnalazione di alcuni nomi. Una sorta di guida che offrisse l’esperienza di ciascun animalista a beneficio di tutti i visitatori del sito. Riteniamo che tali segnalazioni potrebbero avere grande utilità in particolare fuori dalla propria zona abituale, per affidare a mani sicure un animale. Saremmo felici di conoscere l’opinione dei lettori.

Visto che la professione dei veterinari è curare la salute degli animali, che sono i soggetti a cui dedichiamo tutte le nostre attenzioni, siamo istintivamente portati a considerarli tutti indistintamente persone che stanno dalla nostra stessa parte nelle battaglie di difesa, ma vedremo che non è sempre così, anzi spesso sono pericolosi avversari degli animalisti.

Ecco quindi un buon motivo per trattare l’argomento, nonostante che personalmente io debba superare qualche imbarazzo avendo conosciuto veterinari di grande valore scientifico e di grande empatia con gli animali, alcuni diventati anche amici. Altri invece si sono dimostrati venduti all’interesse degli allevatori, della ricerca pseudoscientifica o di oscure logiche della burocrazia. Spero vogliate scusare la lunghezza dell’articolo, ma il mio intento è documentare la necessità di non fare di tutte le erbe un fascio, che rappresenterebbe la massima ingiustizia nei confronti dei tanti veterinari che ogni giorno agiscono secondo i principi morali animalisti, anche se tali non si dichiarino apertamente, e perseguono scientificamente ed emotivamente il bene degli animali.

Dunque iniziamo dalla formazione e dalla missione del veterinario.

Il corso di formazione universitario tratta argomenti simili a quello di medicina umana, ma l’orientamento è assai diverso. La cura dell’animale è vista prevalentemente in funzione della sua utilità per l’uomo. Non a caso il giuramento professionale è basato sui principi di Aristotele e non su quelli di Ippocrate. Cosa significa questa apparentemente dotta e solo formale distinzione?

Il giuramento di Ippocrate viene effettuato da medici, chirurghi, odontoiatri ed il suo contenuto è senza dubbio molto incisivo nell’evidenziare l’obbligo di tutelare la salute e la vita del malato. L’origine di tale giuramento risale a circa il IV sec. a. C., ad opera appunto di Ippocrate, il fondatore della medicina come professione.

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Giuramento di Ippocrate
« Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:

* di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;
* di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
* di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;
* di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;
* di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;
* di promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l’arte medica;
* di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
* di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;
* di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali;
* di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
* di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
* di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;
* di prestare assistenza d’urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’autorità competente;
* di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
* di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.
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Il Giuramento di Ippocrate viene prestato prima di cominciare la professione medica e, nella attuale formulazione sopra riportata, è stato deliberato dal Comitato Centrale della Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri il 23 marzo 2007. La versione precedente risaliva al 1998. La ricorrenza degli aggiornamenti denota la rilevanza del giuramento nella pratica medica e che non si tratta di solo adempimento formale.

Ai veterinari, dopo aver conseguito la laurea, è richiesto il giuramento sul testo di Aristotele, grande figura di filosofo e di naturalista, ma che è errato considerare il primo animalista della storia, nonostante che sia stato il primo a parlare di rispetto per gli animali.

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Giuramento di Aristotele

“Essendo ammesso alla professione di Medico Veterinario, giuro solennemente di dedicare me stesso, il mio sapere scientifico e le mie abilità al servizio della società, attraverso la protezione della salute animale, alleviando la sofferenza degli animali stessi e salvaguardando il patrimonio faunistico, nonché la salute pubblica. Come obbligo per tutta la vita, giuro sul mio onore di impegnarmi costantemente nel migliorare il mio sapere e le mie competenze professionali. Praticherò la mia professione con scienza e coscienza, con dignità e con l’osservanza dei principi etici della Medicina Veterinaria”.
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Appare evidente che l’attività veterinaria è considerata come funzione di servizio alla società umana e la salute dell’animale è vista come mezzo per tutelare la salute pubblica, quindi prioritariamente la sussistenza dell’uomo, non quella dell’animale. La diversità è macroscopica, siamo lontani anni luce dai più rassicuranti e civilmente evoluti principi del giuramento di Ippocrate, che però è stato deciso non essere applicabile alla cura dell’animale, nonostante che sotto il profilo scientifico non vi sarebbero forti impedimenti, ma anzi molte analogie. Se volessimo arrivare sommariamente a una conclusione, si può dire che già dal primo giorno la professione veterinaria è specista: la regola è la morte dell’animale per la sopravvivenza dell’uomo.

L’Università stessa non determina comportamenti morali a favore degli animali. A parte lo storico e sconcertante fatto della laureanda di veterinaria a Pisa che uccise per maltrattamento un levriero e ne ridusse moribondo un altro, entrambi avuti in affidamento (http://www.adozionilevrieri.it/spiegazione_maltrattamento.html ), è dello scorso anno Presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Pisa il Seminario sul “Benessere degli Animali non Convenzionali” nel quale erano relatori rappresentanti di Feder Fauna (l’associazione che rappresenta allevatori ed altri torturatori di animali!!!!!), poi sospeso grazie all’istanza della LAV.

E neppure l’Ordine dei veterinari richiama principi e azioni di rispetto verso l’animale in quanto essere vivente.

L’art. 1 del Codice Deontologico della FNOVI Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani recita:

Art. 1 – Medico Veterinario – Il Medico Veterinario svolge la propria attività professionale al servizio della collettività e a tutela della salute degli animali e dell’uomo.
In particolare, dedica la sua opera:

  •  alla protezione dell’uomo dai pericoli e danni a lui derivanti dall’ambiente in cui vivono gli animali, dalle malattie degli animali e dal consumo delle derrate o altri prodotti di origine animale;
  •  alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle malattie degli animali e al loro benessere;
  •  alla conservazione e allo sviluppo funzionale del patrimonio zootecnico;
  •  alla conservazione e alla salvaguardia del patrimonio faunistico ispirata ai principi di tutela delle biodiversità, dell’ambiente e della coesistenza compatibile con l’uomo;
  •  alle attività legate alla vita degli animali familiari, da competizione sportiva ed esotici;
  •  alla promozione del rispetto degli animali e del loro benessere in quanto esseri senzienti;
  •  alla promozione di campagne di prevenzione igienico-sanitaria ed educazione per un corretto rapporto uomo-animale;
  •  alle attività collegate alle produzioni alimentari, alla loro corretta gestione e alla valutazione dei rischi connessi.

Il testo completo è disponibile al sito http://www.fnovi.it/index.php?pagina=codice-deontologico

Da queste considerazioni scaturisce una visione della professione del veterinario che assomiglia al deserto dei principi animalisti e quindi, laddove la qualifica professionale non basta a darci garanzia, sorge la necessità di trovare altri elementi in base ai quali distinguere i comportamenti dei veterinari.

I veterinari che agiscono avendo come priorità il benessere dell’animale in quanto essere vivente, degno di attenzione e cura per suo soggettivo diritto inalienabile, come pensiamo noi animalisti, rappresentano la parte eletta della professione. Essi agiscono mossi da una loro maturità individuale ed applicano sensibilità di tipo esclusivamente personali che non sono stimolate dagli standard professionali.

Bisogna considerare che il veterinario, in particolare quelli che svolgono la libera professione, agiscono in un quadro normativo dove alle regole professionali si aggiungono gli obblighi imposti ai soggetti economici dalle norme giuridiche, amministrative, fiscali che ne condizionano l’attività.

Inoltre occorre rammentare che dalla propria professione i veterinari devono trarre i mezzi di sussistenza, possibilmente agiata, per sé e per la propria famiglia.

Tutto ciò premesso, si distinguono alcuni veterinari che, oltre al carico di lavoro ordinario, riescono a svolgere attività di volontariato appassionato e gratuito, con grande abnegazione e senso di missione assistenziale in favore di una moltitudine di animali tra i più sfortunati.

Tra i veterinari però vi sono anche quelli che rappresentano il punto di riferimento delle pratiche di sfruttamento degli animali negli allevamenti intensivi e nei tanti luoghi di detenzione e tortura. Sono persone che si trovano al capo opposto ed avverso alla concezione animalista. Da un veterinario che opera nella regione dell’Emilia Romagna, territorio dove lo sfruttamento degli animali è una realtà diffusa e l’indifferenza alla loro condizione è la norma, ho sentito dire con convinzione: “Agli animali dobbiamo fare tutto quello che necessità di reddito impongono, altrimenti qui si chiude tutto”. Quella frase sintetizza il crudo concetto di sfruttamento e di annientamento dell’animale, coerentemente con i compiti ufficiali del veterinario che sono funzionali allo sviluppo economico, alla crudele produzione di cibo tradizionale, alla tutela della salute pubblica.

Ancora tra i veterinari vi sono coloro che agiscono all’interno della pubblica amministrazione, il cui operato riveste grande rilevanza legale, essendo in loro potere svolgere controlli, proporre interventi, valutare le condizioni di vita e, ahimè, anche di morte degli animali. Spesso sono veterinari immersi in pratiche burocratiche, dove l’animale è solo una riga del verbale, non un essere vivente con sensibilità anche emotiva. I diritti animali sono filtrati attraverso la lente deformante delle norme che di naturale non hanno conservato niente. D’altra parte, se tutti i veterinari pubblici fossero animalisti, gli allevamenti sarebbero già spariti da tempo. Non è possibile chiedere a loro di essere il motore del cambiamento, ma è sperabile che anche in tali ambienti si diffonda un maggior scrupolo nel rispetto della vita animale. Sarebbe doveroso che la discrezionalità, che ciascuno di essi mantiene nell’esercizio delle funzioni pubbliche, fosse svolta costantemente a favore degli esseri viventi e non dell’interesse economico o della conformità a prassi di comodo.

L’obiezione di coscienza dimostra come in situazioni simili possano essere profondamente diversi i comportamenti dei veterinari, portando ad esempio le reazioni verificatesi a fronte della macellazione halal. Come noto, in Italia dal 1998 (D.Lgs. 1° Settembre 1998, n. 333) vigono disposizioni che consentono l’uccisione senza lo stordimento dell’animale che deve perciò morire senziente e dissanguato, dopo lunga e straziante agonia, per rispettare le infami pratiche di macellazione islamiche ed ebraiche. Sono due religioni in disaccordo su tutto, meno che sulle sanguinarie modalità d’uccisione degli animali. Il rito islamico prevede anche che l’animale abbia la testa rivolta verso La Mecca. Molti Paesi europei (Austria, Germania, Olanda, Svizzera, Svezia), nonostante accolgano numerosi immigrati musulmani, hanno rifiutato le pratiche di macellazione rituale. In Italia si è ritenuto improvvidamente di abdicare ai nostri principi per un malinteso e becero senso di ospitalità degli immigrati e la macellazione rituale è diventata una orrida, ma legale, pratica quotidiana, nonostante i millenni di civiltà del diritto nel nostro Paese e le decise condanne da parte della Federazione dei Veterinari Europei (FVE) e del Farm Animal Welfare Council (FAWC),

Di fronte a questo scenario si sono levate forti proteste da parte di coraggiosi veterinari che hanno denunciato l’intollerabile ed incivile sofferenza cui sono sottoposti gli animali e hanno esercitato l’obiezione di coscienza, affrontando tutte le dolorose conseguenze, anche il licenziamento, per affermare la propria volontà in favore degli animali che costituisce opinione non ammessa dal nostro ordinamento giuridico. Sul fronte opposto, la massa dei veterinari ha proseguito ad assistere a tali impietose pratiche di uccisione senza alcun fremito nelle loro coscienze, infatti pressoché niente è nel frattempo cambiato.

Cosa possiamo e dobbiamo fare noi animalisti.

Primo: valutare con riconoscenza ed apprezzare l’atteggiamento animalista dei veterinari, perché esso non è richiesto dagli standard della loro professione.

Secondo: in gran parte, i possessori di animali d’affezione rappresentano flussi di lavoro importanti per i veterinari libero-professionisti. Invece di scegliere il veterinario “sotto casa”, occorre impegnarsi con cura nel selezionare a chi affidare i nostri beniamini per il loro bene e per incoraggiare e consolidare i comportamenti dei veterinari animalisti. Anche su internet vi sono informazioni utilizzabili a tal scopo.

Terzo: è obbligatorio incentivare il “passa parola”, che deve tendere a premiare i veterinari che si dimostrano motivati dal vero benessere animale, inteso come rispetto di soggetti viventi e liberi, all’opposto da come stabilito nelle carte della burocrazia che definiscono “benessere animale” condizioni di detenzione e di distruzione legale.

In conclusione. Nel mondo dei veterinari coloro che agiscono nel prioritario interesse degli animali sono una minoranza, ma sono dei giganti per la loro statura etica. Essi si ergono con qualità morali e professionali al di sopra di un contesto popolato da veterinari che invece considerano l’animale un oggetto, subordinano la sua esistenza all’utilità economica e ne giustificano la detenzione, la tortura e l’uccisione, come tragicamente praticato e legalizzato ogni giorno.

Dulcis in fundo. I veterinari animalisti sono le persone che riescono spesso a curare anche il nostro umore. Quando con grande tensione emotiva ci troviamo ad affrontare casi complessi, una parola rassicurante, una diagnosi certa, una cura efficace riescono a ridarci fiducia nel futuro. Nel loro comportamento troviamo la conferma che è ancora possibile rispettare i valori naturali ed esercitare verso i deboli quella pietas che millenni di civiltà umana avrebbero dovuto porre al centro dell’intera nostra esistenza. Siamo invece costantemente spinti verso l’accaparramento e l’egoismo di specie. Il rispetto per gli animali determinerebbe anche il miglioramento della nostra Società, che nella povertà dei suoi attuali valori è condannata al collasso per conflittualità interna.

Ribadisco il concetto di fondo. Per medico, chirurgo e odontoiatra il rispetto della vita e il benessere dei propri assistiti è un obbligo professionale assoluto, ma così non è per il veterinario. Per il veterinario la missione è ancora la tutela della salute umana, quindi il comportamento animalista è una scelta libera e personale, un orientamento discendente solo da etica comportamentale fondata su caratteri di personalità generosa, coraggiosa ed essenzialmente assistenziale. Come tutte le cose di valore, i veterinari che, al di là delle cure, rispettano l’animale nella sua dignità di essere vivente, vanno cercati e, una volta trovati, conservati e condivisi con gli amici. E’ un atto di giustizia, di tutela verso gli animali e perfino benefica anche per noi stessi.

Marco Ciuti

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