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Riprendiamo un bellissimo articolo tratto da un’intervista in cui Totò rivela il suo amore per i cani:

Questo umano senza saperlo era davvero un animalista. In tutti i sensi.

Forse non tutti sanno che Totò, nel 1965 fece costruire a Roma un canile, “L’Ospizio dei Trovatelli”, moderno e attrezzato.
Spese ben 45 milioni di lire.

“A parte l’artista ricordare l’uomo Totò mi riempie di commozione: era veramente un gran signore, generoso, anzi, generosissimo. Arrivava al punto di uscire di casa con un bel po’ di soldi in tasca per darli a chi ne aveva bisogno e, comunque, a chi glieli chiedeva.[..] Totò è senz’altro una delle figure italiane più importanti che abbia conosciuto nella mia carriera e nella mia vita.”

E’ con questi ricordi che il regista ed attore Vittorio De Sica ripensa all’uomo, forse, più che al grandissimo attore, la cui poverbiale generosità si estese anche e soprattutto ai cani, ai trovatelli, ai cosiddetti “randagi”, parola che ad Antonio de Curtis, (Napoli,1898 – Roma,1967) in arte Totò, non piaceva affatto.

 

Aveva sempre avuto l’abitudine di andare a far visita ai cani ospitati in canili, li visitava a turno, sostenendoli economicamente. Si faceva accompagnare sempre da qualcuno, perché Totò era quasi completamente cieco. Finché nel 1965 decise di far costruire lui stesso un canile vicino Roma, che chiamò “L’ospizio dei Trovatelli”, dove venivano ospitati cani malati o feriti: si trattava di ben 220 cani.

 

Lietta Tornabuoni, critico cinematografico, una volta lo accompagnò dai suoi amici a quattrozampe. In un articolo apparso su “La Stampa” ci regala un ricordo personale del rapporto che univa Totò ai suoi trovatelli, un amore reciproco:

«Sceso dalla macchina venne accompagnato dall’autista alla rete metallica che circondava il terreno di giochi dei cani e aiutato a entrare.
Una festa: gli si precipitarono addosso tutti insieme abbaiando, mugolando, scodinzolando, puntandogli le zampe sul cappotto.
Lo riconoscevano, mentre Totò aveva la vista troppo danneggiata per riuscire a individuarli.
Né avrebbe potuto distinguerli dal nome. Ai cani quasi mai attribuiva un nome (“Mica sono figli”). Li chiamava tutti “cane” e basta».”

Eppure in questa definizione, “cane” e basta, era racchiuso tutto il suo grande amore per ciascuno di loro, indistintamente.
Con i cani Totò amava giocare, divertirsi, stare semplicemente in loro compagnia e, sicuramente, anche “chiacchierare”.

Come talvolta accade agli amanti e conoscitori dei cani, Totò non nascondeva di nutrire nei loro confronti una stima ed una simpatia molto maggiori rispetto a quelle che nutriva nei confronti degli uomini.

In una lunga intervista condotta dalla scrittrice e giornalista Oriana Fallaci, alla domanda sui motivi per i quali recitasse anche in film di scarsa qualità, il grande Totò rispose:

– “Signorina mia (…) io non posso vivere senza far nulla: se vogliono farmi morire, mi tolgano quel divertimento che si chiama lavoro e son morto. Poi sa: la vita costa, io mantengo 25 persone, 220 cani… I cani costano…”.

– “Duecentoventi cani?!? E perché? Che se ne fa di 220 cani?!” –

 “Me ne faccio, signorina mia, che un cane val più di un cristiano. Lei lo picchia e lui le è affezionato l’istesso, non gli dà da mangiare e lui le vuole bene l’istesso, lo abbandona e lui le è fedele l’istesso. Il cane è nu signore, tutto il contrario dell’uomo. (…) Io mangio più volentieri con un cane che con un uomo.”-

Totò ebbe anche cani “suoi” (ammesso che non considerasse propri tutti i “trovatelli” che faceva personalmente curare, ospitare ed accudire). Uno dei più noti è Dick, un pastore alsaziano, un cane poliziotto in pensione, che fu affidato proprio all’attore. Dick appare anche in uno dei suoi film, “Totò a Parigi”, ed è proprio a lui che Totò dedicò una delle sue poesie.

NOTA. Una curiosità sui titoli nobiliari di Totò (il quale, dato il suo animo, anche senza avrebbe potuto fregiarsi di una più preziosa e rara nobiltà):

Totò nacque a Napoli il 15 febbraio 1898, col nome di Antonio Clemente. Sua madre nel 1921 sposò Giuseppe de Curtis dalla cui relazione era nato Antonio, che nel 1928 il de Curtis riconobbe come suo figlio. Nel 1933 il marchese Antonio de Curtis venne adottato dal marchese Francesco Gagliardi Foccas e, nel 1946, il tribunale di Napoli gli riconobbe il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di: “Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e d’Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo.”

Ed anche ai suoi cani Totò volle dare titoli nobiliari…: “Dick, il mio cane lupo, era invece barone. Peppe, il mio cane attuale, è visconte. Visconte di Lavandù. Gennaro, il mio pappagallo, è cavaliere. Li ho investiti io.” …

 

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